Dopo 35 anni dal delitto di Via Poma, in queste ore molto si parla della possibilità che si arrivi al responsabile della morte di Simonetta Cesaroni.
Martedì 7 agosto 1990, si consuma il delitto che è diventato per antonomasia il cold case italiano, il giallo dell’estate che per decenni ha accompagnato discussioni da bar tanto quanto speciali televisivi, ispirando romanzieri e portando molti scrittori e giallisti a parlarne nei loro libri, in incontri pubblici o in ospitate in qualche trasmissione, fino a un film per la tv e tutta una serie di recenti podcast dedicati a questo omicidio.

In un ufficio al terzo piano di un complesso residenziale di via Carlo Poma, al civico 2, a Roma, viene uccisa una ragazza che risponde al nome di Simonetta Cesaroni e che all’epoca deve ancora compiere 21 anni, essendo nata il 5 novembre 1969. Chiunque abbia un minimo di familiarità e di passione per i misteri irrisolti, ricorda benissimo la foto in bianco e nero della ragazza, seduta su un telo mare in spiaggia, la testa rivolta verso l’obiettivo, un sorriso appena accennato.
Tutte le persone accusate della morte di Simonetta Cesaroni
Difficile raccontare in poco tempo 35 anni di indagini e depistaggi per quello che è a tutti gli effetti da considerarsi un delitto perfetto o quasi, un omicidio che in tutti questi decenni non ha mai trovato un responsabile, ma che ha al contempo visto molte persone finire sotto accusa. Accuse che poi ogni volta finivano per rivelarsi infondate, come quelle a Pietrino Vanacore, all’epoca portiere dello stabile e morto suicida nel 2010.

Tra gli altri, sono finiti sotto accusa Mario Vanacore, il figlio del portiere, poi ancora il datore di lavoro della vittima, Salvatore Volponi, Federico Valle, il cui nonno era progettista dello stabile e qui risiedeva, l’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno, scomparso nel 2016 e infine Raniero Busco, all’epoca dei fatti il fidanzato della vittima, l’unico effettivamente finito sotto processo, condannato a 24 anni in primo grado e poi assolto in Appello, con sentenza confermata dalla Cassazione.
I nuovi risvolti nel caso del delitto di Via Poma
A 35 anni dalla morte di Simonetta Cesaroni, sul quotidiano Il Messaggero, viene rilanciata la pista che porterebbe all’AIAG, ovvero all’associazione alberghiera per cui la vittima lavorava e nel cui ufficio fu trovata priva di vita, e a presunti legami con servizi segreti deviati. Nel 1994, Giacomo Galanti e Gian Paolo Pellizzaro redigono un dossier che descrive un intreccio di nomi, società e interessi legati all’AIAG, ai servizi segreti e a luoghi simbolo di misteri italiani: via Gradoli, via Poma e l’Olgiata. Il documento suggerisce che certi ambienti legati alla sicurezza dello Stato avrebbero avuto legami con l’associazione.
Secondo il dossier, veniva stilata una lista di chi lavorava lì nel 1990, ma mancano le presenze dal 10 luglio al 13 novembre, a ridosso e dopo il delitto, dunque. Queste assenze sono state ritrovate nel 2024 dal padre della vittima e allegate a un’opposizione alla richiesta di archiviazione. Inoltre, si ipotizza che Simonetta Cesaroni fosse con qualche collega il giorno del delitto e allo stesso tempo si parla anche di alibi mai verificati. Sulla base di questo dossier, il gip di Roma ha intrapreso nuove indagini.