Storie illustrate – Saman indica la via per azioni concrete di integrazione

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“Tum kar diye, penjron men qaid,hamari nazaron ke khwab,dilon ki dhadkanRooh-e-jism ke armaanhamare parte qadam (…)AoTumhare banae unpe joron ko dekhojinke salakh ko morkar, torkarHum nae asmaan ki talash menud rahe hainTum dekhte reh gaen”


Staring Eyes


“You have locked in cagesthe dreams in our eyesour heartbeatesthe hopes that we embodiedour moving feet (…)Comeand see what we have done to your cagesbroken them, destroyed themwe are now flying in search of a new skyand you have nothing better to do than look”


Sguardo che fissa


 “Hai sigillato nelle gabbiei sogni nei nostri occhii nostri battiti del cuorele speranze che incarnavamoi nostri piedi che si muovonoVienie guarda cosa abbiamo fatto alle tue gabbiele abbiamo rotte, le abbiamo distrutte,ora stiamo volando in cerca di un nuovo cieloe non puoi fare nient’altro di meglio che guardare.”


La poesia, scritta e recitata da Sabika Abbas Naqvi, poetessa e attivista indiana per i diritti umani, e animata per il collettivo del Sud Asia Kadak da Samya Arif, artista pakistana, racconta la realtà che molte donne subiscono sui loro corpi nel subcontinente indiano, in particolare in Pakistan. E’ un grido di battaglia, un urlo di ribellione silenzioso che reclama la libertà all’autodeterminazione, al proprio corpo, alla propria espressione, al movimento.

Queste battaglie accomunano le donne di tutto il mondo, dai Paesi Occidentali a quelli cosiddetti del Sud del mondo. E’ una lotta transnazionale come come nemico ha spesso una cultura fortemente patriarcale, più o meno esplicita, la cui peggiore espressione è il femminicidio, l’idea che l’uomo possa rivendicare il diritto di usufruire del corpo della donna come se fosse una sua proprietà, decretandone perfino la morte. Saman Abbas è vittima di culture patriarcali, ma anche di uno Stato che non ha saputo darle, a lei e forse alla sua famiglia, gli strumenti per vincere questa lotta, per trovare occasioni di confronto e di sostegno, e non solo alla fine, nella comunità, ma a soprattutto all’inizio.

Si parla di cittadinanza italiana, di integrazione, e della loro mancanza. Allora ci piace pensare che dal suo pensiero, dal suo corpo invisibile, possano nascere semi di nuove riflessioni che sfocino in azioni concrete su quanto espresso, su tematiche urgenti da affrontare oggi in Italia. Allora ci piace immaginare Saman, come dice Sabika Abbas Naqvi,  in cerca di nuovi orizzonti, capaci di ispirarci e farci riflettere per davvero sul nostro Paese di cui, era, anche senza documento, una cittadina.