Manca poco ormai all’inizio del mese della preghiera e del digiuno, il Ramadan 2021. I musulmani sono pronti infatti per celebrare il mese della purificazione e iniziare le preghiere. Il Ramadan 2021 inizierà martedì 13 aprile e terminerà mercoledì 12 maggio. La pandemia da Coronavirus comporterà limitazioni e restrizioni alle celebrazioni del Ramadan 2021 ma diversamente dallo scorso anno, sermoni e preghiere possono essere condotti in presenza – rispettando distanziamento e numeri massimi nelle mosche e nei centri di preghiera – mentre il vero problema quest’anno resta il coprifuoco: «Abbiamo riadattato l’ultima preghiera serale, che normalmente termina alle 22.30-23 anticipando la fine alle 21.30, consentendo così ai fedeli di poter tornare a casa prima del coprifuoco», ha spiegato all’Agenzia Dire il presidente dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia (Ucoii), Yassine Lafram.
Ma in Italia quanti sono i musulmani?
Contrariamente a quanto talvolta si è detto, dagli anni ’90 ad oggi, è risultata sempre infondata un’invasione di musulmani. La loro incidenza è equivalsa in maniera costante a circa un terzo delle presenze immigrate, salvo nella metà degli anni ’90 quando raggiunse pochi punti percentuali al di sopra. Quindi -secondo i dati del Dossier Statistico Immigrazione – la popolazione musulmana presente in Italia è pari a 1.733.000 fedeli, il 33,0% dunque della popolazione migrante, regolare, in Italia.
La composita comunità islamica ha il suo perno in Africa, con oltre il 50% dei membri (a partire dai marocchini e, a seguire, gli immigrati provenienti da Egitto, Tunisia e Senegal), ma sono importanti anche altre provenienze, sia europee (Albania) che asiatiche (Bangladesh e Pakistan).
L’incidenza dei musulmani fra gli stranieri residenti conosce il picco del 40% in Emilia-Romagna e Trentino Alto Adige. Invece, la loro incidenza rispetto alla popolazione totale residente in Italia si aggira sul 3%, un valore inferiore al 4,5-5% stimato a livello Ue e al 7,5% della Francia.
Si tratta indubbiamente di una presenza significativa ma senz’altro lontana dalle ricorrenti “sopravvalutazioni” (viene loro, infatti, attribuita un’incidenza sui residenti del 20%, secondo un’indagine svolta nel 2016 da Ipsos Mori) che finiscono per turbare l’opinione pubblica e predisporre alla chiusura (un sondaggio del 2016 condotto dal Pew Research Center ha riscontrato che il 68% degli italiani è poco favorevole alla presenza dei musulmani).
Secondo le proiezioni del Pew Research Center, prestigiosa struttura statunitense, a metà secolo i musulmani in Europa non dovrebbero superare il 10% dei residenti, mentre in Italia secondo il Dossier potrebbero raggiungere il 6%.
L’Islam culturale
«Quello più diffuso in Italia è un islam ‘culturale’, alimentato da un remoto richiamo della memoria religiosa del paese d’origine – spiega Paolo Naso, politologo dell’Università Sapienza di Roma e membro del comitato scientifico del Dossier Statistico Immigrazione – che si esprime soprattutto nel digiuno del mese di ramadan e nella partecipazione ad alcuni momenti comunitari. D’altra parte una comunità così numerosa e variegata non sempre trova guide formate e preparate a rispondere alle domande di dialogo e di presenza pubblica che le istituzioni, la società italiana e le altre comunità di fede pongono all’islam italiano. Spesso, gli imam sono sostanzialmente autodidatti in materia coranica e dottrinale, mentre si fa sempre più urgente la creazione di una scuola “italiana” che formi guide spirituali qualificate e pronte a esercitare quel ruolo di ponte e di mediazione culturale che serve a costruire un islam propriamente europeo».
Da sottolineare inoltre che, per quanto riguarda i musulmani, che quasi 3 su 10 (28,9%) sono europei, per la quasi totalità provenienti dall’area balcanica e centro-orientale (albanesi, moldavi e kosovari); per oltre la metà (52,7%) africani, soprattutto provenienti dall’area settentrionale (37,8%), con i marocchini in testa, seguiti a distanza da egiziani e tunisini e dall’area orientale (13,6%), in cui predominano senegalesi e nigeriani; per poco meno di un quinto (18,5%) asiatici, soprattutto del sub-continente indiano (bangladesi e pakistani).