Approda in Italia la fotografa Fatimah Hossaini, una finestra sulle culture nel Paese in fuga dai talebani
La strada che conduce a loro non è segnata da cartelli direzionali, ma dalle note di una tenue melodia mediorientale che si diffondono lungo il porticato dell’Accademia di Belle Arti. Seguendone il richiamo si giunge ai piedi di uno schermo, dove una musicista mollemente accomodata prosegue nella sua esecuzione infinita, dando il benvenuto allo spettatore e introducendolo alle compagne della piccola sala a volte in pietra leccese.
Sono loro e il loro irresistibile charme le protagoniste della mostra: le donne afgane ritratte negli scatti della fotografa Fatimah Hossaini, che dopo Pechino, Teheran, New York e Parigi approdano per la prima volta in Italia, negli spazi dell’Accademia di Belle arti di Lecce. La mostra, promossa dal presidente dell’Accademia Nicola Ciracì e dal direttore Nunzio Fiore, a cura di Ester Annunziata, Patrizia Dal Maso, Maria Nocerino e Patrizia Staffiero – è stata inaugurata lo scorso 22 ottobre alla presenza dell’artista e della ministra dell’Università e della ricerca Cristina Messa.
“Beauty amid war”, la bellezza in mezzo alla guerra è il tema del lavoro di Hossaini, o forse sarebbe meglio dire “nonostante la guerra”, a guardare le incantevoli signore che si affacciano dai pannelli incorniciate dai loro veli e gioielli, al cui cospetto la storia e la rappresentazione mediatica dell’Afghanistan degli ultimi decenni scompaiono, con le grandi fotografie che sembrano divenire finestre aperte su una stupefacente varietà e ricchezza.
I capelli e l’incarnato, gli abiti, il velo nelle sue molte declinazioni – l’unico assente è il burqa – e altri copricapi tradizionali, la fattura delle vesti: ogni dettaglio si fa testimonianza di una società complessa, nella quale l’identità delle donne si intreccia a variabili molteplici. Non c’è una sola donna afgana, ci raccontano queste fotografie, ma c’è la donna di città e quella di provincia, la donna ricca e quella del popolo, la studentessa, la lavoratrice e la donna di casa, la tradizionalista e la progressista, l’artista.
Tutte fissano l’obiettivo, nessuna abbassa lo sguardo. I loro volti non sono timidi, ma neppure spavaldi: semplicemente, “sono”. Come visioni differenti di una Gioconda contemporanea, sembrano osservare lo spettatore in procinto di pronunciarsi e sciogliere l’enigma, che tuttavia resta sospeso.
Quali storie raccontano questi volti? Quale Afghanistan, tanto diverso dall’immaginario mainstream, porta con sé la donna dai capelli rossi e dallo smalto giallo fluo avvolta in un abito intarsiato e sgargiante?

Volti finemente truccati, le sopracciglia scolpite, un maglione a collo alto dalla linea occidentale che spunta dal velo. Una, in occhiali da sole, si affaccia indolente dal finestrino di un’auto mentre fuori scorre una strada di uomini che si affannano sulle biciclette.
Un’altra imbraccia una chitarra elettrica al centro di un mercato dai confini sfocati, da cui si intravedono soltanto uomini e ragazzini colti in un punto di domanda.

Cartoline da un Paese la cui storia non è solo guerra e terrore. Un Paese che soltanto negli ultimi decenni ha subito l’occupazione militare sovietica, poi la salita al potere dei mujaheddin, quindi il regime dei talebani, la guerra con gli Stati Uniti, l’occupazione e la transizione guidata verso un regime democratico – che ha consentito alle donne di tornare a scuola e all’Università, di guidare e lavorare – e infine l’ultimo capitolo del ritorno dei talebani.
Il laboratorio Tasc all’Università del Salento
Che ne è ora di queste donne? Se lo è chiesto anche Fatimah Hossaini, intervenendo dopo il vernissage in un incontro del laboratorio Tasc all’Università del Salento. Lei stessa, nata da una famiglia afgana rifugiata a Teheran, negli scorsi anni è tornata in Afghanistan per insegnare Arte all’Università di Kabul, dove nel 2019 ha fondato la Mastooraat Organization a sostegno dell’arte, delle donne e della pace (vincitrice del premio internazionale Hypatia per la ricerca e l’arte), e ha dedicato il suo lavoro al recupero delle radici identitarie del Paese attraverso la forza delle donne e il superamento dello stereotipo di “vittima” a loro associato.
E anche Hossaini, come molte altre artiste e attiviste, è fuggita a Parigi con un volo speciale all’affacciarsi del nuovo regime dei talebani. Se l’Afghanistan per una fotografa donna già prima del 2021 non era un luogo facile, ora è diventato del tutto impossibile.
“Quello che in altri Paesi è qualcosa di scontato, qui non lo è – ha detto Hossaini – per la foto della donna in auto, ad esempio, non era affatto semplice poter fermare il traffico. Perché quello scatto? Dove sarebbe andato a finire? Nella storia dell’Afghanistan si sono alternati momenti di libertà ad altri che hanno annientato ciò che era stato costruito prima. Posso dire che con la Repubblica il Paese aveva fatto grandi passi avanti. Ho avuto modo io stessa di tornare come donna istruita, ma negli ultimi tempi molte cose erano cambiate e ora con i talebani lo sono del tutto. Immagino che tutte le donne delle mie foto siano scappate come me”.

Come le musiciste dell’Orchestra Zohra – il cui nome richiama una divinità persiana protettrice della musica, e già in questo giudicata “blasfema” – che sono riuscite a mettersi in salvo in Qatar, ma che nel terrore di subire ripercussioni avevano già distrutto i loro strumenti.
Anche l’Italia si è attivata per l’accoglienza e la protezione delle rifugiate (e dei rifugiati) afgani. La ministra Messa, intervenendo all’inaugurazione della mostra di Hossaini, ha richiamato “il progetto di estendere l’European Qualifications Passport for Refugees ai rifugiati afghani e l’apertura di una linea di finanziamento per le istituzioni universitarie e Afam, pronte ad accogliere, anche sotto l’aspetto della residenzialità, studenti, docenti e personale tecnico proveniente dall’Afghanistan”.
Una spinta forte viene da associazioni, artisti e società civile, che da diversi mesi si stanno impegnando ad accendere fari e a facilitare l’arrivo in Italia dei cittadini afgani in fuga. Una di queste iniziative è legata a un appello al mondo del teatro e dell’arte lanciato sulle colonne de “Gli stati generali”, per il sostegno degli aspiranti studenti degli Atenei italiani.
Restando nell’universo del teatro, il 25 ottobre molte istituzioni aderenti alla rete OperaEuropa hanno dedicato le celebrazioni per la Giornata mondiale dell’Opera alla libertà e al sostegno della cultura musicale afgana.
Ma nessun aiuto è possibile senza una conoscenza profonda del contesto: per questo, l’edizione 2021 del Festival Sabir (promosso da Arci insieme a Caritas Italiana, Acli e Cgil, con la collaborazione di Asgi, Carta di Roma e il patrocinio della Rai) in programma a Lecce dal 25 ottobre si apre quest’anno con un focus sulla situazione afgana.