Donne migranti / Forzare i confini per cambiare il mondo

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Storie della Buonanotte_100 donne migranti

Storie della buonanotte per bambine ribelli 3 / 100 donne migranti che hanno cambiato il mondo

Storie da leggere prima di andare a dormire, ma che non servono a plasmare i sogni della notte: piuttosto, a ispirare avventure e rivoluzioni da sveglie. Sono le “Storie della buonanotte per bambine ribelli”, la celeberrima serie prodotta dal gruppo editoriale Rebel Girls (pubblicata in Italia da Mondadori), tradotta in 49 lingue e diffusa in 85 Paesi, esplicitamente pensata per fornire alle “piccole donne” in formazione modelli femminili positivi e incoraggiarle a «scardinare gli stereotipi di genere e realizzare pienamente se stesse». La terza edizione del progetto, uscita a ottobre 2020 e firmata dalla sola Elena Favilli (dopo la separazione dall’altra autrice, Francesca Cavallo, che ha fondato una propria agenzia di produzione media) si spinge oltre, sollecitando un duplice cambio di paradigma nella narrazione dominante: accanto al genere, introduce l’elemento delle migrazioni e racconta di donne migranti. «Superate i confini» recita la dedica-manifesto che apre il volume, sintetizzando efficacemente le due prospettive. 

Un racconto di donne migranti, dunque, che guarda in modo complesso al cosiddetto “soffitto di cristallo”, spaziando, storia dopo storia, dal patriarcato al razzismo, dal divario economico alle guerre. Il tutto, attraverso storie di successo, storie vere “di e per” bambine ribelli (ma sarebbe bene che le leggessero anche ai loro fratellini) e un valido supporto pedagogico per aiutare ai genitori di affrontare con semplicità argomenti quali discriminazioni, minoranze, pari opportunità, diritti civili. Questo ampliamento tematico era già stato realizzato all’interno della costellazione di Rebel Girls nel libro “Madame C. J. Walker & la formula della bellezza”, una biografia della pioniera dell’industria cosmetica per capelli Sarah Breedlove, la prima milionaria della storia, donna e afroamericana. Con le “Storie della buonanotte” il ventaglio si allarga decisamente. A partire dall’esperienza della stessa autrice, emigrata in California dopo una laurea in Semiotica a Bologna per  studiare giornalismo digitale all’Università di Berkeley: una migrante, come si definisce nei ringraziamenti del libro («A tutte le persone che mi hanno aiutata nella mia strada da migrante negli Stati Uniti: grazie per aver trasformato questo Paese nel mio Paese»).

I testi, semplici ed essenziali, si prestano al racconto “della buonanotte” ma come recita il titolo, si tratta di “storie” di donne migranti, non di fiabe: a muovere la narrazione non ci sono streghe cattive ma le varie condizioni di svantaggio sociale legate al fatto di essere donna e migrante, gli “aiutanti” non sono fate e folletti ma scuola e sport, e il lieto fine è scritto dall’impegno e dalla tenacia (e, certamente, non da un principe). Un’ “enciclopedia” di modelli positivi, raccontati ed efficacemente riassunti nelle illustrazioni di sessanta autrici, in cui trovano posto attrici e scienziate, sportive e imprenditrici. Il progetto, inoltre, supporta Save the children promuovendo donazioni tra i lettori a favore delle bambine siriane che vivono nei campi per rifugiati in Giordania.

Storie di cui si ha bisogno. Ad oggi, la comprensione delle migrazioni risulta ancora troppo scarsa e poco aderente alla realtà, come dimostrano diversi studi condotti nel mondo occidentale. In Italia, due indagini realizzate da Ipsos e Osservatorio di Pavia per WeWorld e presentate a ottobre 2020 evidenziano come la percezione del fenomeno migratorio sia sovradimensionata e orientata, negativamente, dalla narrazione politica e dei media prevalente. La maggioranza degli intervistati crede, ad esempio, che la presenza di stranieri sul territorio ammonti addirittura 31 %, più di tre volte il dato reale (9 % ); inoltre un italiano su quattro (27%) ritiene che le migrazioni siano tra i principali problemi del Paese, ma solo uno su 10 (12 %) conferma questa risposta se la questione viene affrontata a livello del proprio comune. Elementi, questi, che riconducono facilmente alla rappresentazione del fenomeno in tv e sui giornali, dove a prevalere sono le notizie relative agli sbarchi e al lavoro irregolare piuttosto che storie di successo professionale. Inoltre, addirittura nel 69,5 % delle notizie i migranti sono meramente l’oggetto del discorso, mentre hanno un ruolo attivo ed esprimono opinioni solo nel 13,4 %. 

Elementi che trovano conferma anche nello studio di G. Natello e M. Ghirelli pubblicato nel Dossier statistico immigrazione Idos 2020 (“La rappresentazione mediatica degli immigrati e l’hate speech contro gli stranieri nell’Italia”): «Analizzando le rappresentazioni dei migranti che circolano nella sfera pubblica – dichiarano – appare chiaro che ancora la stragrande maggioranza delle notizie e immagini diffuse dai media, come le dichiarazioni e i proclami degli attori politici, non rendono giustizia al profilo demografico, economico e sociale del fenomeno migratorio: è infatti minima l’attenzione alla vita quotidiana degli stranieri in Italia, alla comprensione dei loro costumi e culture, al riconoscimento del loro contributo al paese».

Commissione parlamentare Jo Cox del 2016 sull’intolleranza

Gli autori citano, a tal proposito, la relazione finale della Commissione parlamentare Jo Cox del 2016 sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio, dalla quale emerge il triste primato dell’Italia come Paese con il più alto tasso di disinformazione sull’immigrazione. Secondo il settimo rapporto dell’Associazione Carta di Roma “Notizie senza approdo”, inoltre, anche nel 2019 il mondo dell’informazione ha continuato a rappresentare prevalentemente le migrazioni come un “problema” divisivo e polarizzante, fonte di conflitti politici e sociali, sebbene le notizie in prima pagina di tono allarmistico siano calate del 6 % rispetto al 2018 (arrivando al 18% del totale). Ma se tanto resta da fare nella narrazione giornalistica, sono decisamente i social network l’emergenza a cui porre un argine: solo lo scorso anno Facebook ha dovuto chiudere 23 pagine italiane, con oltre 2,46 milioni di followers, che condividevano notizie false e contenuti divisivi su migranti, vaccini ed ebrei. 

Ben vengano, dunque, le donne ribelli, donne migranti, che ribaltano la narrazione dominante. Quelle, ad esempio, di scintillanti e irraggiungibili idoli pop come Rihanna, nata e cresciuta alle Barbados, di cui il libro di Elena Favilli ricostruisce il percorso prima della ribalta. O quelle, tra le più varie, di pluripremiate sportive, tra pattinatrici sul ghiaccio, velociste, nuotatrici, giocatrici di bowling. Né mancano le imprenditrici. Davvero “gustosa” la storia dell’indiana Asma Khan, che a Londra con la sua organizzazione usa la cucina come veicolo di integrazione culturale. Degna di nota, all’interno della categoria, la greca Arianna Huffington, cofondatrice dell’Huffington Post, della cui biografia si racconta anche il “secondo tempo” come promotrice di valori legati al benessere personale dopo un esaurimento nevoso da troppo lavoro: un esempio utile a riflettere anche sul mito produttivista nel mondo capitalistico occidentale. 

RIHANNA: Jestenia Southerland 2020, Timbuktu Labs Inc.

Infine, importanti sono i modelli “al quadrato”, donne di successo distintesi per il loro attivismo a tutela dei diritti civili. Come Muzoon Almellehan, brillante studentessa siriana approdata in Gran Bretagna dopo aver trascorso l’adolescenza in un campo profughi, nel 2017 scelta come ambasciatrice Unicef, la più giovane fino a quel momento. O l’autrice e fumettista iraniana Marjane Satrapi, divenuta celebre a livello internazionale per aver raccontato la sua fuga dall’Iran islamista alla Francia nel meraviglioso graphic novel, poi divenuto film d’animazione, “Persepolis”.

DIANE VON FURSTENBERG: Elisa Seitzinger 2020, Timbuktu Labs Inc.

E tuttavia, non possiamo non notarlo, anche questo meritorio progetto editoriale finisce per scivolare sulla tentazione del “racconto dominante” quando, su cento storie proposte, ne seleziona ben 63 che giungono a destinazione negli Stati Uniti: davvero troppe, a scapito di tante altre che avrebbero potuto essere raccontate richiamando le opportunità offerte ad ogni latitudine da culture e Paesi diversi. Corre però nel senso opposto quella di Edmonia Lewis. Di padre afro-haitiano e madre nativa americana, a fine ‘800 riuscì ad affermarsi come scultrice ma scappò dagli Stati Uniti attraversati dal razzismo per coltivare la sua arte nel cuore del Vecchio Mondo, in Italia. Una “storia della buonanotte” che, non a caso, ha ispirato anche il romanzo La linea del colore” di Igiaba Scego, scrittrice da sempre attiva nella battaglia contro gli stereotipi.